Il problema delle minoranze etnolinguistiche ha avuto scarso rilievo politico da parte della cultura italiana del dopoguerra e delle categorie politiche. È mancato un movimento culturale che sostanziasse politicamente e giuridicamente i motivi ideali e la realtà delle minoranze. Ben altro faceva sperare la Carta di Chivasso (19 dicembre 1943) con la quale le popolazioni alpine affermavano che la libertà di lingua «è condizione essenziale per la salvaguardia della personalità umana» e dichiaravano il riconoscimento del diritto di usare e insegnare la lingua locale — dove esisteva — accanto a quella italiana e di reclutare insegnanti delle parlate locali. Pochi anni più tardi la vittoria politica delle forze moderate (1948) assegnava lo stampo di sovversivo a chi si occupava concretamente di problemi delle minoranze.

L'integrazione e l'assimilazione delle minoranze è considerata dalla produzione industriale una necessità al fine di rendere omogenei i mezzi di espropriazione dell'individuo-merce. Ciò che è diverso interrompe o ostacola la reificazione omogenea sicché è inevitabile ricorrere alla distruzione dell'identità di una cultura (lingua, religione, economia locale e di gruppo, tradizioni, letteratura, etc.): questa è la feroce linea del consumismo e dei mezzi di comunicazione di massa che ne sono gli strumenti, dalla loro opera è derivato il terremoto antropologico che ha deformato l'Italia. La linea di cultura che ha ignorato i valori delle culture delle minoranze ha favorito le fagocitazioni di concezioni del mondo che avevano rappresentato elementi creativi della storia umana.

Contro questi pericoli nel 1962 è stata emanata la dichiarazione, a Lund, dell'Associazione internazionale per la difesa delle lingue e delle culture minacciate (AIDLCM) la quale ha sottolineato che la salvezza delle piccole popolazioni è una questione culturale della massima importanza e che la difesa delle lingue delle minoranze e dei popoli naturali «è la base sulla quale deve fondarsi ogni protezione di queste categorie di popoli». Ogni lingua è un modo di pensare, nessuna è superiore a un'altra per il fatto di possedere termini scientifici e tecnici che le altre non possiedono e che possono essere mutuati. Perdere la lingua è perdere cultura, pensiero, identità, caratteri distintivi.

Nel 1968 veniva costituito in Italia il Comitato federale per le comunità etnolinguistiche e per la cultura regionale in Italia (sezione dell'AIDLCM) con gli intenti di difendere il patrimonio linguistico delle comunità diverse dall'italiana operando per attuare pienamente il principio della tutela delle minoranze enunciato dall'art. 6 della Costituzione; valorizzare le particolarità linguistiche e culturali delle comunità; fare riconoscere nella scuola i valori delle parlate regionali e della cultura locale.

Fin dall'anno precedente il congresso dell'AIDLCM aveva chiesto l'applicazione completa dell'art. 6 anche alle minoranze greca e albanese di Calabria attraverso: 1) l'insegnamento della lingua e del dialetto materno, dando la preferenza agli insegnanti autoctoni o conoscitori della lingua della minoranza; 2) incoraggiamento della cultura etnica mediante aiuti a circoli, biblioteche, teatri, etc.; 3) valorizzazione delle tradizioni artistiche popolari e della cultura regionale in genere.

Nel 1974, infine, si svolgeva a Trieste la Conferenza internazionale sulle minoranze che si è occupata delle culture etniche subalterne studiando: lingua, cultura, scuola e comunicazioni di massa; problemi socioeconomici; problemi giuridici e internazionali. In questa Conferenza si constatava che l'area di libertà si veniva restringendo per ogni minoranza e che al colonialismo imposto con le armi veniva sostituito il condizionamento oppressivo delle nuove strutture del produrre e del consumare su scala mondiale. Questi meccanismi, alleati degli inurbamenti, dell'esodo dalle campagne e delle migrazioni causate dalla concentrazione industriale, minacciano il patrimonio delle minoranze che è possibile salvare saldando - così in una relazione della Conferenza - le loro aspirazioni «alla lotta più generale per la fine dello sfruttamento, per una scuola democratica, per organizzazioni sociali che promuovano l'autonomia e i diritti di libertà di tutti gli individui».

Tali precedenti sono necessari per spiegare i fermenti dai quali sono sorti l'attività del circolo La Jonica (grecanico di Calabria come Cinùrio Cosmo, Zoi ce Glossa, Apodiafàzi) e il Rapporto della Commissione internazionale d'informazione e di inchiesta designata dall'AIDLCM venuta in Calabria dal 24 al 31 marzo 1975. Nel 1950, anno in cui Il Ponte pubblicò un memorabile numero unico sulla Calabria sulla scia dell'eccidio di Melissa, i problemi delle minoranze non figurano tra i «problemi sociali d'oggi» e le lingue delle minoranze non sono trattate in quanto tali ma in relazione alla «varietà degli idiomi».

Il Rapporto dell'AIDLCM ( La situation des communantes linguistico-culturelles de la Region de Calabria, Perpignan - Reggio Calabria, Frama 1976, a cura dell'Azienda autonoma di soggiorno e turismo di Reggio Calabria e del circolo La Jonica dei Greci di Calabria), redatto in francese, italiano e inglese, è il risultato dell'indagine svolta dalla Commissione (formata da J. Costa i Roca, B. Pahor, G. Buratti, L. Robet, A. Meriano, J. Chiorboli) in Calabria. Il rapporto accorda priorità al problema della sopravvivenza della cultura greca in Calabria perché la minoranza muore: «Fra i suoi ultimi bastioni, Roghudi, Chorio di Roghudi, Bova, Amendolea e Gallicianò combattono - cosi Salvador Espriu, presentatore del Rapporto - le ultime battaglie prima di capitolare e di perdere per sempre forme di cultura che sono state e restano la gloria della civiltà mediterranea e di cui noi siamo responsabili davanti alla storia». Infatti dopo le pioggie torrenziali del 1971 che provocarono slittamenti del terreno, Roghudi venne abbandonata e gli abitanti furono dispersi a Reggio e a Melito; Chorio di Roghudi ha subito gravissimi danni dalle pioggie del dicembre 1972 e gennaio 1973, e il migliaio di abitanti venne quasi interamente sgomberato e trasferito sulla costa; Galileiano, frazione di Condofuri, non ha acqua nelle case né fogne, gli alunni della scuola media dell'obbligo devono percorrere quattordici chilometri a piedi per recarsi a Condofuri. La vallata dell'Amendolea costituisce ormai «l'ultimo territorio greco che resta di una zona molto più estesa che abbracciava tutta la parte sud della penisola calabrese e che si è andata restringendo nel corso dei tempi». Nonostante lo screditamento di cui è oggetto, la popolazione greca ha una forte coscienza di gruppo e volontà di sopravvivere con i suoi usi e costumi.

La Commissione conclude che lo stato della comunità grecòfona vive l'ultima umiliazione e l'ultimo avvilimento sicché se non verranno prese misure serie e urgenti la cultura greca di Calabria è al suo ultimo decennio di vita. Oltre alle proposte di ordine strutturale e fisico-ambientale la Commissione propone: la creazione di posti di istitutori di lingua greca e di animatori culturali e di un insegnamento bilingue; la formazione di maestri e professori di lingua greca; l'attivazione di ricerche e studi sulla cultura grecòfona, legata alla cultura popolare esistente.

Nonostante la dispersione dei luoghi abitati la popolazione albanese di Calabria ha mantenuto l'attaccamento alla lingua materna e ha continuato la cultura comune. Mentre l'Albania era oppressa dalla dominazione turca (l'indipendenza dell'Albania è del 1946) in Calabria dal secolo XVI si veniva svolgendo una letteratura in lingua albanese. La Commissione ha sottolineato le pressioni a cui è soggetta oggi la cultura albanese e ha proposto la creazione dell'insegnamento della lingua albanese, l'elaborazione di uno statuto ufficiale che stabilisca i diritti culturali della comunità. Altra dichiarazione ha emanato la Commissione su una colonia zingara visitata in una caserma in disuso a Reggio Calabria ed ha insistito sulla discriminazione di cui sono oggetto gli Zingari.

Già prima di tale inchiesta chi scrive queste pagine aveva diretto a Livorno (2-8 dicembre 1974) una sessione di lavoro, per insegnanti di scuole medie superiori, avente come oggetto il problema delle minoranze in Italia. La proposta (17) era giunta dallo scrittore sloveno di Trieste Boris Pahor e chi scrive aveva potuto attuarla, essendo Ispettore centrale dell'Istruzione classica, scientifica e magistrale del Ministero della Pubblica Istruzione, per mezzo dell'ufficio A.I.M. (Aggiornamento insegnanti e metodi) diretto dalla prof. Ersilia Oricchio. Il corso — il primo di questo genere nella storia dell'istruzione pubblica media superiore — ha suscitato un notevolissimo interesse per la novità e perché rispondeva alle necessità della scuola. Ad esso hanno partecipato numerosi insegnanti appartenenti alle comunità minoritarie (soprattutto a quella albanese) ed è stato articolato in relazioni, dibattiti, gruppi di studio. Relatori sono stati Antonio Piromalli, Sergio Salvi, Gustavo Buratti (allora segretario della sezione italiana dell'AIDLCM), Ulderico Bernardi, Domenico Minuto (per i Greci di Calabria), Samo Pàhor, Antonio Sanna, Osvaldo Coisson, Domenico Zanier, Aldo Pugliese (sulle comunità italo-albanesi di Calabria), Lois Graffonara, Bruno Nicolini, Boris Maticetov, Antonietta Salveti, Boris Pahor. La sessione di Livorno («che è riuscita nel più perfetto dei modi», B. Pahor) si rivolgeva agli insegnanti perché prendessero conoscenza dei problemi pedagogici, psicologici, storici, culturali delle minoranze etniche frustrate e creassero, con gli esempi di una storia integrale umana, quella delle comunità, esempi di vero umanesimo: non di ricerca di parole e di forme ma di rapporti in cui si veda che col perire della vita dei deboli e dei poveri trionfano la disumana colluvie degli oggetti che spengono le persone e i modelli del benessere che conduce alla morte (18).

Eppure vi sono incontri che rinnovano visioni della realtà portando al centro degli interessi problemi umani e non nominalistici, vitali e non cartacei. Tali sono gli incontri con i difensori delle comunità e delle lingue minacciate, indigenti itineranti che all'accademia e agli aspetti disutili di tanta parte dell'odierna cultura, o di alcuni suoi modi di essere, preferiscono la lotta in favore di ciò che è autentico e oppresso: le culture primitive di indigeni, pastori, contadini, pescatori, di comuni isolati, cantoni, vallate alpine, di lingue morienti. Non è questo un amore decadente per l'emarginato e il morituro ma è lotta contro la violenza che produce la morte, è rinsanguamento, svelenamento dai mali del colonialismo e del dominio.

Il secondo corso di aggiornamento per docenti delle scuole medie superiori intomo alle minoranze ha avuto come argomento la cultura delle comunità greca e albanese in Calabria , è stato diretto da chi scrive e si è svolto a Roccella Jonica dal 21 al 30 aprile 1975. Anche a questo corso hanno partecipato docenti albanesi di Calabria e Sicilia, greci del Salento, rappresentanti della comunità slovena, e i lavori hanno visto presenti greci di Calabria e del circolo Jonica. Il corso, inaugurato da Scipione Valentini, presidente dell'Assemblea della Regione Calabria, e assistito con intelletto ed amore da Giuseppe Tassone, sindaco di Roccella Jonica, ha avuto i seguenti relatori: Antonio Piromalli, Gustavo Buratti, Giuseppe Falcone, Domenico Minuto, Rosa Dattola, Emilio Tavolaro, Albino Greco, il papàs Emanuele Giordano, il papàs Antonio Bellusci. Gli argomenti discussi sono stati: la tutela delle minoranze greca e albanese, il dialetto romaico della Bovesia, caratteri e tradizioni della grecità bizantina, i problemi attuali e la nuova generazione letteraria dei Greci di Calabria, l'architettura bizantina in Calabria, panorama storico delle realtà albanesi in Calabria, aspetti giuridici delle comunità italo-albanesi, situazione attuale delle parlate albanesi d'Italia e prospettive per il futuro, canti e tradizioni degli italo-albanesi. Una visita di istruzione nella Bovesia ha consentito di prendere conoscenza della realtà di Bova, Amendolea, Gallicianò. Per i partecipanti Antonio Nucera ha scritto dei versi (19) e a Bova Bruno Casile ha letto un saluto (20).

Quasi certamente la Calabria non ha mai avuto un dibattito culturale sulle sue minoranze cosi compatto e organico come quello della sessione di aggiornamento di Roccella Jonica. I relatori sono stati stimolati dagli interventi di studiosi come il papàs Giuseppe Faraco, di grecòfoni come Giovanni Andrea Crupi che da quel corso ha derivato l'interiorità dei motivi dei suoi studi successivi di grammatica bovese e del recente studio La "glossa" di Bova (Bova Marina, 1979) di cui riportiamo l'introduzione nella prima sezione di studi di questo volume.

I documenti dei quattro gruppi di studio (distinti, per quanto possibile, da omogeneità etnico-linguistica) costituiscono le direttrici del lavoro da compiere per la salvaguardia delle minoranze calabresi e anticipano proposte diventate attuali come: lo studio degli aspetti storici, geografici, culturali e sociali di ciascuna realtà etnica; la costituzione di un distretto scolastico autonomo albanese; l'attenzione affinchè la difesa indiscriminata ed emotiva del patrimonio culturale delle minoranze non si trasformi in battaglia contro il processo di emancipazione delle classi subalterne; lo studio di temi adatti a recuperare il patrimonio culturale delle singole etnie (storia della diaspora greca, di quella albanese in Italia; storia delle tradizioni popolari greche e albanesi; insegnamento della storia e della cultura della madre patria di ciascuna etnia; questionario sull'uso della lingua minoritaria a seconda dei luoghi e delle persone, etc.); recupero dinamico, rivitalizzante e aperto agli arricchimenti, delle lingue minoritarie per evitare cadute nell'archeologia linguistica e nella conservazione culturale e sociale. Ripetiamo che questi documenti (presentati integralmente nella seconda sezione di questo volume), elaborati da 58 docenti di scuole medie superiori e da una decina di docenti universitari ed esperti dopo fittissimi dibattiti e studi, costituiscono il corpus più organico e moderno sul tema delle minoranze in Calabria, insostituibile in qualsiasi indagine e, soprattutto, in qualsiasi provvedimento relativo alle etnie alloglotte di Calabria (rimane inedito, purtroppo, l'intero corpus delle relazioni e dei dibattiti di dieci giorni).

In un altro corso di aggiornamento (21) diretto da chi scrive a Lecce (20-26 ottobre 1975) intorno a "dialetto e scuola" la problematica delle minoranze in Calabria è stata trattata il 21 ottobre (dieci giorni prima della morte) da Pier Paolo Pasolini durante il dibattito, in seguito a un intervento di Giuseppe Faraco (22), italo-albanese. Pasolini ha sostenuto che le culture particolari si erano mantenute vive fino a dieci anni prima e che il consumismo ha distrutto quasi ogni elemento di quelle culture: «Antropologicamente un siciliano era un siciliano, un albanese era un albanese, un friulano era un friulano. Niente li aveva trasformati. L'intervento della cultura di massa, dei mass-media, della TV, del nuovo tipo di scuola, del nuovo tipo di informazione e, soprattutto, delle nuove infrastrutture, cioè il consumismo, ha compiuto un'acculturazione, una centralizzazione in cui nessun governo, che si dichiarava centralistico, era mai riuscito. Il consumismo, che si dichiara tollerante, aperto alle possibilità di decentramento, invece è spaventosamente centralizzato (...). E allora, l'altra soluzione sarebbe quella estremistica; cioè che voi Albanesi chiedeste l'indipendenza, addirittura di carattere separatistico, come fanno i Baschi, gli Irlandesi, o come hanno cominciato a fare i Corsi. Questo è un altro paradosso, come quello della scuola. Questo lo dico per far vedere che in realtà c'è poco da fare».

Nella scuola media superiore l'eco dei corsi dell'AlM sulle minoranze, su scuola e dialetto, cultura nazionale e culture regionali e locali, è stata profonda e si sono avute ricerche, sperimentazioni, lavori di gruppo nonché progetti di sessioni su etnie e linguaggi alpini. L'eco si è avuta anche nelle tematiche di concorsi e di progetti di programmi scolastici ministeriali: a condizione che restasse, però, congelata nelle enunciazioni ufficiali, che restasse "tema" e non espressione di una realtà vivente. Infatti la ottusità culturale di due ministri, di qualche sottosegretaria, nonché il servilismo di qualche alto burocrate, la rozza faziosità di politici di maggioranza e l'insensibilità di qualche dirigente politico di sinistra hanno consentito e aiutato l'abolizione dell'ufficio AIM e dei corsi di aggiornamento del Ministero della P.I.: perché il dibattito dei docenti era collegato con la riforma delle strutture della scuola media superiore, e la riforma della scuola era ipotizzata in connessione con le opportune e convenienti riforme della società.

Oggi si ha una scuola allo sbando, caotica, priva di motivi ideali e con mezzo milione di docenti da aggiornare (23). Ma nulla di ciò che è umano ed ha rapporto con la realtà può morire, e i problemi delle minoranze, dei dialetti, delle culture locali sono entrati più largamente nella coscienza nazionale quanto più contro di essi si è venuta esercitando l'azione delle maggioranze fautrici dei valori di consumo e quanto più la difesa di quei problemi è divenuta la difesa dai mass-media, dagli slogan, dall'omogeneizzazione di mercati e di culture.

 

NOTE

 

17 - La proposta è ricordata nel volume di U. Bernardi , Le mille culture, Roma, Coines 1976, nel quale sono parzialmente pubblicate alcune lezioni tenute al corso di Livorno (p. 118).

18 - Così ancora B. Pahor in op. cit. (117): «Se l'ecologia si è giustamente dichiarata per la difesa della fauna e della flora e di quello che è lo spazio vitale degli esseri viventi, non si vede perché un uomo di cultura del nostro secolo non dovrebbe essere un ecologo quando si tratta di studiare non soltanto un animale raro ma una realtà inestimabile quale per esempio il greco arcaico di Aspromonte».

19 - "Cheretàme ulla ta maìstri tis Italia / ti érchonde sti Roccella ti CcaIavria / na mattèu ta pràmata ti cclonìama: / ulli ecìni ti stecu sta chorìama / ene ià tuto charapemméni /
iatì theli ipi ti i glòssama den e sbimméni (
Salutiamo tutti i professori d'Italia che vengono a Roccella di Calabria per imparare le cose della nostra razza: tutti coloro che stanno nei nostri paesi sono per questo contenti perché vuoi dire che la nostra lingua non è spenta)".

20 - "Egò donno ta cheretìmata dicàmu, ce cina zze olu i Greci an di Calavria [..]: Porgo i miei saluti e quelli dei Greci di Calabria: e li porgo con una lingua che ci hanno lasciato i nostri avi e con questa dimostriamo la nostra stirpe. Questa lingua era ammalata (e più avanti dirò perché); ma adesso da poco ha ricominciato a dare sintomi di vita. Dico così perché i bambini e anche i grandi stanno apprendendo qualcosa. Ma non sono solo io che posso insegnarla: ci vogliono le scuole dove possa recarsi chiunque voglia imparare. lo la sto insegnando ad uno studente di medicina, ma non posso andare sempre perché lui sta a Bova e io sto lontano; vado quando posso e gli faccio scuola. A Bova un anno fa si era parlato di una scuola per il grecanico, ma ancora non è cominciata. Molti mi hanno chiesto quando incomincia questa scuola di greco. lo ho risposto: fra poco, un'altro mese ancora. Non so ancora perché non è incominciata. Se è andata indietro la nostra lingua, non siamo noi i peccatori. Ma i peccatori sono quelli che conoscono e quelli che hanno imparato a scrivere, che non hanno saputo e non hanno voluto tenerla in vita, non hanno scritto libri per la scuola e quelli che c'erano sono andati smarriti. Quello che ha scritto qualcosa di buono per la nostra lingua è un tedesco, il prof. Rohlfs. Abbiamo anche i proff. Rossi-Taibbi e Caracausi, i quali hanno scritto in un libro molte cose della nostra lingua. La lingua è arrivata fino a noi attraverso uomini che non sapevano né scrivere né leggere e se non fosse per questi l'avremmo perduta. Ancora possiamo fare qualcosa con le scuole: in un anno molti la potranno parlare. Vi saluto di nuovo augurandovi buona salute. Sono il bovese consigliere della Jonica". (Cavallo, 25 aprile 1975)

21 - Ricordato, insieme con quello di Roccella Jonica, da G. Faraco nel volume di U.
Bernardi, pp. 209-210.

22 - Relatori del corso sono stati: Antonio Piromalli, Gustavo Buratti, Pier Paolo Pasolini, Alberto Sobrero, Orlando Spigarelli, Camiilo Breno, Ulderico Bernardi. La relazione di Pasolini è stata tenuta nella biblioteca del Liceo Classico “Palmieri” di Lecce ed è stata seguita anche dai docenti e alunni del Liceo; nel pomeriggio dello stesso giorno c'è stato a Calimera un incontro di Pasolini con i giovani di un circolo greco. Relazione di Pasolini e dibattito sono stati pubblicati in P. P. PASOLINI, Volgar'eloquio (a cura di A. PlROMALLI e D. SCAFOGLIO), Napoli, Athena 1976.

23 - Sopravvivono i soppressi Centri didattici. Giovanni Spadolini, appena nominato
ministro della P. I., ha pubblicato l'elenco degli enti— quasi tutti "Conferenze
episcopali" ! — ai quali lo Stato ha assegnato i fondi per l'aggiornamento.

24 - M. KARPATl - R. SASSO, Adolescenti zingari e non zingari, Roma, Centro studi
zingari, 1976.

25 - J. U. CLAUSS, Isole linguistiche nell'Italia Meridionale in “Calabria sconosciuta”,
aprile-giugno 1979.