Un Maestro

 

di Massimo Felisatti
Letteratura & Società, n.17-18 / 2004

 

Antonio Piromalli non è mai stato mio professore e questo in un certo senso ha fatto sì che prevalesse nei nostri rapporti un altro tipo di legame, un rapporto di vicinanza culturale ma anche politica. L’ho conosciuto all’esame di 5º ginnasio: professore giovanissimo e da poco insegnante – i professori “anziani” preferiscono evitare la noia e la fatica degli esami, specie se interni e quindi senza gratifica di trasferta – Piromalli, di fronte al mio tema, in cui si parlava delle allora freschissime di stampa prime opere di Gramsci, ebbe il coraggio di proporre e di ottenere per me il massimo dei voti, un dieci che non era mai esistito nella storia del liceo classico di Ferrara (e non so se sia più stato dato).

Fra il ragazzino neoliceale e il giovane professore si stabilì un rapporto che prese quella sorta di familiarità che era data anche dalla comune iscrizione al PCI (per me anche questa per concessione speciale, data la mia giovanissima età).
A lui devo soprattutto quello che sarà non solo il corso fondamentale dei miei studi, ma in seguito di quasi tutta la mia attività professionale.

Antonio Piromalli, infatti, aveva appena pubblicato uno studio su La cultura a Ferrara al tempo dell’Ariosto che mi aveva fatto conoscere un mondo quasi per nulla frequentato dalla cultura tradizionale e di cui senza di lui avrei continuato a ignorare l’esistenza: quello di una cultura popolare, antisignorile, antiestense, espressione ironica, sferzante, spesso anche drammatica delle classi subalterne. Qualcuno ha voluto paragonarla a quella satirica romana, ma credo che il Belli, per fare uno dei nomi più illustri, abbia poco a che vedere con l’anonimo Ferrarese (forse Antonio Cammelli detto il Pistoia) della fine del ’400 che così esultava ferocemente per l’uccisione a furor di popolo del «giudice dei savi» (un funzionario ducale col compito di ammistrare la giustizia e di riscuotere le tasse): «facciam festa da ogni lato / che ’l Zampante è sbudellato!».

Debbo dunque ad Antonio Piromalli la scoperta di Antonio Cammelli e della cultura di quel tempo, su cui ho scritto prima la tesi di laurea, poi diversi saggi; alla fine ne ho fatto il protagonista, insieme all’Ariosto, di un film (*) scritto con e per Florestano Vancini (che di Piromalli è pure stato grande amico ed estimatore), ambientato appunto alla corte estense.

Il suo insegnamento ha contato molto nella mia attività professionale, nel mio lavoro, nella mia vita. Averlo conosciuto non è stato solo un privilegio, ma un elemento fondamentale della mia formazione: di questo gli devo una gratitudine infinita.

 

Massimo Felisatti

(* N.d.r.): Il film citato dall'autore è: E ridendo l'uccise (2005), soggetto e sceneggiatura dello stesso Felisatti insieme con Florestano Vancini, regia di quest'ultimo.

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