Il senso storico

 

di Luigi Senzasono
Letteratura & Società, n.17-18 / 2004

 

Antonio Piromalli era uno studioso tutto calato nei fatti fin da quando affrontò, ancora giovane, il problema della cultura ferrarese al tempo dell’Ariosto: si trattava di ricostruire una società nei tratti salienti, cioè di fare scaturire la società estense fra il quindicesimo e il sedicesimo secolo dai documenti disponibili. Fatti eloquenti, come un’esecuzione capitale e l’uccisione del capo delle guardie ducali per mano popolare, con il canto che esaltava quell’atto, venivano a documentare le caratteristiche di quella società; il raffinato ambiente cortigiano risaltava su uno sfondo squallido e violento che ne poneva in rilievo lo splendore e, proprio per questo, le contraddizioni etiche, sociali e statuali. Poi, nel proseguire del tempo, egli ha risentito del senso dell’autonomia specifica del fatto letterario, sotto l’influenza del Croce. Ricordo di avergli parlato una volta del suo libro sul Pascoli; egli mi rispose asciutto: «Era critica interna». Capii subito quel che voleva dire: la poesia di Pascoli era vista in quel saggio in modo autonomo, svincolata dal contesto storico-sociale. Ma in realtà non mancano in quel libro osservazioni sui nessi culturali e, implicitamente, sociali. Questo non impediva a Piromalli di soffermarsi ammirato su una lirica perfetta e intensa (caso raro in Pascoli) come L’assiuolo.

Il suo senso storico lo induceva ad apprezzare una manifestazione poetica nei suoi valori didascalici, ovviamente risolti nell’espressione letteraria, come nel caso di Parini. Come commentatore di testi egli era puntuale e preciso, calato ancora una volta nei dati: basterebbe leggere il commento al Saul di Alfieri, che avrebbe meritato e meriterebbe ancor oggi una migliore e più diffusa conoscenza; passi della tragedia generalmente poco valorizzati dai lettori e dalla critica, come il dialogo fra David e Abner sul piano di battaglia, acquistano in questo commento il dovuto risalto.

Certo la sua grande passione storica è stata, per la massima parte della sua vita, fino all’ultimo, la letteratura calabrese: credo che egli sia stato e rimanga il maggiore studioso di questa letteratura, di cui ha scritto una succosa storia.
La letteratura della regione di nascita e di origine (la Calabria) e la cultura della regione in cui ha vissuto per buona parte della sua vita (l’Emilia-Romagna) sono state al centro dei suoi interessi: certo queste sono le regioni italiane che egli ha più amato.

Dall’interesse per la poesia cavalleresca del Rinascimento e per le sue ragioni culturali a quello per la letteratura d’una regione che ha dato pensatori mistici e profetici come Gioacchino da Fiore e narratori realisti come Corrado Alvaro, Piromalli ha spaziato, senza mai abbandonare la sua adesione ai fatti. Dunque l’accertamento filologico rimaneva ovviamente alla base delle sue ricerche, che tuttavia non si esaurivano in esso. Si tratta infatti di uno studioso che aveva il senso individuale del fatto letterario, irripetibile nel suo carattere creativo; quindi non di un positivista, ma d’uno storicista autentico, volto a cogliere, attraverso i testi, il significato del fenomeno letterario; ma dai testi egli è sempre partito: ricordo una conversazione con lui, che lamentava il fatto che critici e storici, anche illustri, della letteratura italiana, non leggessero i testi di cui scrivevano. Questa serietà filologica fonda l’esattezza dei suoi giudizi, che non trascendono mai il dato, ma l’illuminano.

Così era la conversazione con lui: una sua frase concisa bastava a illuminare tutto un panorama letterario: sembrava l’indicazione d’un dato, ma in realtà era un fermo e circostanziato giudizio. Talvolta si diffondeva su un aneddoto riguardante uno scrittore, ma da quell’aneddoto scaturiva chiaro un profilo critico.
L’apertura del suo senso storico era grande, tanto da spaziare in un vasto ambito letterario che andava dalle Lecturae Dantis a Montale e a scrittori calabresi contemporanei.

Piromalli era un uomo di sinistra, ma non si chiudeva in alcuna setta ed era sempre disposto ad apprezzare chiunque dimostrasse intelligenza e umanità, di qualunque parte fosse. Ricordo una conversazione sulle personalità umane di Ungaretti e Montale: egli mostrava maggiore simpatia per il primo, nonostante fosse stato fascista, proprio per la sua umanità, benché il suo gusto e il suo orientamento politico e letterario lo avvicinassero di più a Montale.
La stima di cui Piromalli era circondato nell’ambiente accademico era solida e poteva contare su critici e storici letterari della statura di Luigi Russo. Una volta disse a me e a mia moglie: «Io senza far nulla non ci so stare». E certo in tutta la sua vita è stato un tenace e indefesso lavoratore.

La morte l’ha colto sul campo, nella sua terra, alla cui cultura si proponeva di dedicare ancora molte delle sue energie intellettuali. Egli ha dovuto lasciarsi interrompere d’improvviso, ma la morte che, come dice Croce, «in ozio stupido non ci può trovare» non può vantare il suo diritto sulla sua opera, vasta e varia, di cui certo molto rimane e attende i continuatori.

 

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