Il lavoro di un critico
(di Renzo Frattarolo, Studi in onore di Antonio Piromalli, p. 47-56, E.S.I., Napoli 1993)

 

Gli studi critici di Antonio Piromalli trovano, si sa, una pietra di paragone in quelli d'altri studiosi e storici della nostra letteratura: studi, mettiamo, su un Ariosto, su un Fogazzaro, su un Michelstaedter, su una Deledda, già codificati, dei quali non parrebbe inutile rivedere qualche allaccio a distanza d'anni, a comprovare certa sua attenzione a una metodologia critica di vivace linguaggio e compostezza espressiva e a una storicizzazione di sempre più larghe aperture a istanze teoriche e dottrinali. È da dire anche che con sostanziale lievitazione, e d'estremo rigore speculativo, verso le più avanzate insegne culturali, egli non rinuncia ugualmente ai moduli tradizionali centrando l'atto critico su una individuale vicenda letteraria studiata nel quadro di una dimensione storico-testuale di particolare respiro.(continua dalla pagina "La critica letteraria").

In realtà, Piromalli sempre più s'è sforzato di scoprire i significati potenziali di un soggetto per valutarli non come semplici elementi di informazione ma come elementi informativi espressi in maniera emozionale, cercando di evitare l'ancoramento, per così dire, ai concetti di utile e di contenuto da una parte e dall'altra a quello di forma, al ricorrente errore, cioè, di opporre il contenuto alla forma e la verità, o la morale, alla bellezza. Altra notazione da fare mi par questa: che sebbene si lasci prendere a volte dalla pur accettabile tesi che un'opera di letteratura riflette l'adeguamento del suo autore alla società, e che insomma il significato sociale coincida con quello letterario, par di rilevare che, riconoscendo debitamente il valore della incessante collaborazione tra scrittore e lettore, egli non scorga ragione alcuna per ignorare quel che v'è d'importante nelle predilezioni psicologiche di un narratore o di un poeta e sappia che in definitiva essi verran giudicati in base alle risorse tecniche del loro mestiere. Resta poi da osservare come in una saggistica particolarmente rappresentativa e che segna la direzione di una delle più puntuali linee di sviluppo della letteratura moderna e contemporanea, non senza significanti soste nei secoli di mezzo, Piromalli analizzi e confronti con una documentazione di chiarimento da cui chi legge possa essere sollecitato egli medesimo a formulare da sé un giudizio corretto: una critica, del resto, non soltanto conoscitrice di prodotti letterari, come ha da essere, ma soprattutto, come accade, mettiamo, per l'Ariosto, coscienza di un'epoca e di una civiltà culturale.

Una critica, occorre dire ancora, che non si smarrisce in lambiccature verbali e nel computo delle sillabe e dei suoni, ma attenta alla forma espressiva, come nel saggio su Giovanni Pascoli, nel quale il mondo poetico risulta liricamente individuato. Critica, infine, come immagine di un uomo e di una personalità. È da dire che, lettore di molto gusto, Piromalli ha alle spalle periodi di intensa attività in cui vivissimo è stato lo scrupolo della preparazione erudita e il senso di que­gli essenziali valori estetici e, più generalmente, spirituali a dichiarare i quali deve intendere ogni opera letteraria. Indagatore lucido e conclusivo, per questo, sempre attento a ogni realtà o problematica culturale; ricerche illuminanti, così spesso, zone oscure di letteratura, di scorcio talune, altre di più vasto campo, ove è ripresa ogni conclusione raggiunta ma si cerca di raggiungere conclusioni definitive o almeno durevoli e di cogliere lo sviluppo di una operazione narrativa o di poesia nella loro concretezza, con sicura capacità mnemonica e sintetica che gli consente di delineare tra l'altro ampie panoramiche, come il volume sulla letteratura calabrese, e vedute d'insieme che son veri affreschi storici di operante vitalità.

Tenendo conto di queste premesse vien più facile accostarsi a questo letterato che sa essere a un tempo critico, dialettico e pure poeta ispirato e sensibile, di cosi leopardiane ricordanze e ugualmente di montaliana scarnificazione metafisica, ove si voglia di forza suggerire un'etichetta alla sua poetica di tanta disponibilità stilistica ed espressiva, di tanto insospettato contenuto, di tanto trasalimento lirico; sì che fa meraviglia come ben pochi, Mario Costanzo, Ettore Mazzali e qualche altro, abbiano avvertito di quanta instintività musicale, di quanta qualificazione «verbale» e suggestione immaginifica si vanti la sua ispirazione. Interessante rimane, a proposito, lo scavare in se stesso, l'equilibrare la propria cultura, l'armonizzare la propria mentalità di uomo di studio con la vena congenita di scrittore « originale ».

Certo, più contano nella sua biografia ideale le opere saggistiche e le monografie storico-critiche elaborate in decenni di delucidazioni e precisazioni intelligenti, a volte di sconcertante verità, concorrenti tutte, comunque, a sciogliere interrogativi, a illuminare taluni personaggi della medesima luce in cui vissero nell'opera d'arte. E forse non è inutile chiarire che la sua critica si colloca con proprietà di commento e consapevolezza di precedenti e di fonti in un appassionante spazio di ricerca esegetica: si ritorni ancora all'Ariosto e si vedrà come il discorso sul poeta e sul poema s'allarghi a discorso sulla società cui il poema medesimo era destinato e dalla quale il suo autore proveniva: inquadra­mento storico come complemento della ricostruzione critica, e com­plemento indispensabile. Forse, proprio in certo richiamo felice della storia, del costume, dell'ambiente, del carattere, che s'intreccia con la squisita intelligenza della poesia, dei personaggi poetici e del poeta, e nella tendenza tutt'altro che letteraria a scoprire e a rappresentare la trama delicata dell'arte, sta la simpatia comunicativa e persuasiva del suo ragionare. Ed è un ragionare, questo di Piromalli, tutto lucidezza mentale, tutto disciplina e rigore, ricerca dell'essenziale e riprova assi­dua di posizioni teoriche nate, egli stesso suggerisce, da quella esigenza di storicismo di cui in principio s'è detto, e di poetica e di stile; con l'in­tesa di non perdere, lettore infaticabile, infaticabile osservatore dei fatti letterari, alcun briciolo di certe eredità di erudizione e di gusto, di certe, troppo sicure, sistemazioni, ma all'occorrenza rompendo vecchi schemi consunti con giudizi di valore che lo immettono con autorevolezza nel grande dibattito metodologico-letterario contemporaneo. Insomma, guardando alla sostanza del suo lavoro, ove pure si tratti di scorci e prospettive su momenti generali della lunga storia d'italianistica, bisognerà riconoscere l'impegno suo estremamente costruttivo sul terreno di una cultura non mummificata in sistemazioni dottrinali ma operante nei suoi riflessi più fecondi sui problemi di scelta culturale imposti all'uomo d'oggi; la sua visione dialettica, in cui i fenomeni let­terari piuttosto che sezionati nelle loro astratte componenti vengono compresi organicamente nelle loro diverse valenze, sottintende una valutazione legata alla presenza innovatrice degli autori trattati, operazione valida a non disperdere l'analisi critica in rapsodie puramente aneddotiche o in divagazioni ambigue e dissolventi; e dunque lavoro degnissimo, nel quale vien raggiunto un felice modo di narrazione che illumina ombre e impegna alle più larghe aperture la notizia storica ancor dubbia o incompleta.

In particolare, s'è già ricordato di passata l'indagine sua appassionante sull’Ariosto, al quale più volte Piromalli è tornato (La cultura a Ferrara al tempo dell'A., Firenze, 1953; Motivi e forme della poesia di L.A., Firenze-Messina, 1954; A. [storia della critica], Padova 1969), con suggestivo linguaggio critico che scava nella poesia e nel personaggio Ariosto, più quando avverte il bisogno di collegare lo studio di quella poetica con la storia delle idee umanistico-rinascimentali mostrandone le giustificazioni testuali e le aderenze del Furioso alla realtà storica e sociale contro o al di là di una dialettica rotante su una favola irreale o sulla evasione dal tempo storico: una verifica, dunque, storico-sociologica, si direbbe di tipo gramsciano, in suasiva aderenza all'opera ariostesca e al complesso culturale nel quale l'Ariosto si formò e operò: verifica e concretezza d'analisi che ha trovato consensi ma pure non pochi dissensi, e per esempio s'è parlato di un assurdo antistorico che vuoi presentarci il Furioso come un libello di sapore volterriano contro il feudalismo e le credenze teologiche e morali del tempo. Ma qui non si vuole andar oltre i tanti specchi delle varie posizioni critiche e si è solo posto l'accento sulla personale visione di Piromalli, sulla impostazione integralmente storicistica di una interpretazione che avverte nel capolavoro ariostesco anche altri organici richiami, come certi momenti « naturalistici» e significanti correnti ironiche che vi son connaturati: l'ironia è il mezzo tecnico con il quale il poeta ha trasportato in superiori immagini il sentimento realistico e quella espressione logico-fantastica della realtà che è l’«invenzione».

Approdo critico di singolare pronuncia, come è facile notare in altri «capitoli» delle sue ricerche, sul Bertola, sul Parini, ove si mira a illuminare l'uomo con l'opera più volentieri che l'opera con l'uomo, a porre e risolvere problemi più che esaminare il fatto artistico nella sua sostanza essenziale; e se il primo, una delle più interessanti figure di letterato dell'età che corre fra l'ultima Arcadia e la prima generazione di romantici, scrittore di raffinata prosa, di tenera musicalità e gran gusto elegiaco, assiduo nei rapporti culturali con gli eruditi del tempo suo, gli dà modo di allargare lo sguardo al costume e alla letteratura di fine Settecento, del secondo, attivamente partecipe, come si sa, della vita intellettuale della Milano illuminista, richiama il dettato poetico, il registro stilistico, l'altissima coscienza civile: immagine nutrita di una matura rigorosità d'impostazione interpretativa poiché, allo stesso modo che il Binni nelle sue pagine pariniane non aveva esitato a sistemare larga parte della poesia dell'autore del Giorno sotto le insegne della ideologia razionalistica del tempo suo, Piromalli quella poesia collocava nettamente al di qua del preromanticismo con una operazione di scavo che pur senza voler rivoluzionare i quadri consueti della nostra storiografia si mostrava di solido impianto e interessante linea di sviluppo del giudizio critico.

Operazione di scavo che assume valore di restauro dottrinale nel saggio sul Pascoli, poeta inquietante, poeta che sfugge di continuo alle tante sue definizioni possibili; a cominciare, mettiamo, dalla sua biografia; ma senza dubbio l'unico poeta di statura veramente europea nell'Italia di fine Ottocento per il suo sfumato ma del tutto intimo decadentismo e la ricchezza di immaginismo. Per tacere di quanto linguisticamente ha contato e conta per la nostra poesia contemporanea da Saba a Montale a Pasolini. Operazione, anche, difficile dacché alla elaborazione di un giudizio attendibile o, per lo meno, seriamente motivato ha sempre nociuto la posizione negativa del Croce che nel 1907 s'aggiungeva a quella del Borgese e che se pur attenuata nella decisiva postilla del 1919 ha costituito per la sua autorità impaccio e remora. Comunque, nel discorso più vivo e proficuo aperto dalla critica, che negli anni recenti è venuto approfondendosi sul simbolismo e sullo sperimentalismo del poeta e, appunto, sul suo apporto alle forme poetiche novecentesche, si inserisce con gran cura filologica il personale discorso di Piromalli che ricostruisce, intanto, la formazione e il mondo poetico di Pascoli guardando a quello che costituisce il tratto qualificante di quella creatività, la nativa vocazione di lui ad assumere come dato di creazione la sensazione acustica avvertita come voce delle cose, anzi come il loro stesso essere. E interessa il saggio di Piromalli per l'analisi in specie di Myricae di cui si delinea la genesi interiore e dove egli avverte i caratteri primari e più qualificanti della poetica pascoliana, quel «fresco mondo che il poeta guardò con occhio ingenuo e con verginità sensitiva, che allontana da sé, nel linguaggio comune e dimesso, le intenzioni letterarie e il mitologismo classicistico»: un processo d'indagine, giova annotare, che pone in risalto oltretutto l'agnosticismo psicologico, estremo limite di una prima produzione pascoliana, segno di una crisi complessa che si vien manifestando dopo le Myricae in un affievolirsi dell'ispirazione che aveva rappresentato il nucleo della poesia pascoliana della natura e in un ripiegamento estetico e morale sul classicismo tradizionale dal Pascoli romanticizzato e caricato di simboli. Rilevata la «monocorde tematica» del mondo pascoliano, aggravata da una ispirazione storica e civile debole nelle strutture e nel valore spirituale, la conclusione è che i veri sostegni spirituali del poeta furono il classicismo e il didascalismo georgico dai quali talvolta esorbita la sua ispirazione che «si muove verso il sogno e il sovrasensibile con accenti ricchi di suggestione e non facilmente dimenticabili». Ricerca tematica che se non tiene gran conto del volo sicuro pur dispiegato dal Pascoli nei poemi latini rappresenta nella storia della critica un momento di particolare chiarificazione.

In una rassegna come la nostra si può annunciare e giudicare nel suo complesso un volume ma non si può esporne e tanto meno discuterne punto per punto certa impostazione o validità di metodologia; resta però il fatto che Antonio Piromalli sa ben salvarsi dal pericolo (e credo non sia possibile salvarsene sempre) degli schemi e dei generi e da quello di classificare i suoi autori talora secondo la critica e talvolta secondo l'estetica, come è facile accada. Quanto ai giudizi, mi appaiono punti fissi di orientamento che rivelano una fisionomia di studioso esemplare per coerenza di idee e fedeltà ai principi ispiratori delle sue ricerche che gli consentono di spaziare in campi diversi d'italianistica e cogliervi frutti che denunciano la sua fervida partecipazione al rinnovamento degli studi sulla letteratura nostra. Degni di attenzione nel quadro fertilissimo dell'opera sua considero due volumi per me di eccezionale spicco nella sua prospettiva storiografica, per originali recuperi, elementi vivi di interpretazione, di indicazione, di lucida rappresentazione, tanto da valere come contributi essenziali alla storia della nostra cultura: dico quello sulla Deledda, quello su Michelstaedter. E di quest'ultimo, a proposito, cosa conoscono le giovani generazioni? Un pensatore (se n'è ricordato nell"87 il centenario della nascita) vinto da una ereditaria tristezza ferma e disperata, da una esperienza senza fondo, da una antichità senza principio, ma le cui pagine, annotava Garin, hanno parlato nel punto in cui si credette, o almeno alcuni credettero, che una rigida trama fosse ormai spezzata fra gli uomini, e fosse aperto un discorso umano e una comunicazione nuova, e s'avviasse una società giusta; un poeta, anche, d'autentico trasporto lirico anche se d'affannosa violenza e distratto e confuso da ricerche e da esperimenti che egli non ebbe tempo di concretare. Ed ecco il libro di Piromalli a illuminarne la singolare personalità, a impostare la sua ricostruzione sulla sua evoluzione e involuzione intellettuale, badando non soltanto all'opera creativa ma pure, come è giusto, all'indole, all'ingegno, alla sensibilità dell'uomo, alla sua irrequieta emotività, districando dal fitto intreccio delle sue meditazioni una linea di svolgimento di un pensiero per molti versi interessante. Senza contare che egli rappresenta un ennesimo «caso» della nostra civiltà culturale da collocare, secondo il critico, nella linea dei pochi persuasi assertori della persuasione: «persuasi nel senso che o bevvero la cicuta o si fecero crocifiggere o furono scomunicati o incarcerati o rinunciarono, comunque, alla vita che non è vita».

Poi il saggio deleddiano, che ha un posto tutto suo per la approfondita indagine su un tema che appariva scontato in partenza, e per la singolare forza costruttiva con cui Piromalli, aperto alle più varie risonanze critiche sulla scrittrice sarda, ne precisa la storia investendo di questa storia i molti problemi e ricercando il significato poetico-culturale della sua narrativa, dalle prime stilizzazioni di un mondo primi­tivo e favoloso alla più ampia vena lirica e romantica della maturità, all'infiacchirsi «di quel fermento ribelle nell'acccttazione di un ordine convenzionale e inerte»: una verifica serrata e puntuale, questa sua, dell'inquietudine deleddiana, attenuatasi man mano si inaridisce quella sua radice arcaica « che traeva da un fondo oscuro una forza di genuina poesia»; una ipotesi di lavoro di definitoria caratterizzazione dove l'esperto geometrismo di Piromalli favorisce l'occasione della ricerca espressiva, il processo di traduzione di sostanze umane in prodotti di stile e, in un certo senso, di poetica.

A riprova, comunque, dei fondamentali interessi di Piromalli, in una linea culturale che collegando l'antico al moderno lo ha visto operare dal campo delle monografie storico-critiche ai vari commenti e introduzioni a testi di Goldoni, Alfieri, Padula, Pasolini, ecc., e fra l'altro alla Storia della Letteratura italiana e ai Saggi critici del De Sanctis, figurano preminenti le pagine sul Bertola già ricordato e antico amore del critico, visto nell'ambito della letteratura del Settecento: un Bertola che sappiamo partecipe della nuova temperie preromantica come mostra in specie il suo Viaggio sul Reno e ne' suoi dintorni del 1787 (ma edito nel '95), le imitazioni da Young, le traduzioni da Gessner, e qui particolarmente studiato nella sua dimensione spaziale secondo una profonda necessità di sistemazione storica. E questo par di vedere anche nel volume su Ideologia e arte in Guido Gozzano che si colloca nella storia della critica al di sopra dei contrastanti schemi con accesa presa d'esame e rigoroso lavoro di ricapitolazione, libero sempre dall'impaccio di abusate formule problematiche secondo una coscienza e una educazione letteraria d'antica data. E di Gozzano Piromalli studia particolarmente l'essenzialità lirica affidando l'analisi alla ricerca di quei valori stilistici, rappresentativi della personalità gozzaniana, che ne garantiscono l'autentico dono poetico; dopo la puntuale elaborazione sulla condizione crepuscolare, o non, di questa poesia, e su cui s'è fermata la pure attenta ricognizione di tanta parte della critica contemporanea, preciso resta l'assunto di Piromalli quando cerca di vedere a fondo in questa poetica richiamandone le strutture testuali secondo quella metodologia che s'è avvertita nell'opera sua.

E l'avvertiamo nel volume su Miti e arte in Antonio Fogazzaro visto nel suo momento poetico-religioso-idealistico, nel suo temperamento romantico e modernista, nella rievocazione nostalgica di figure e ambienti provinciali: interessante documento, questo pure, di lavoro critico e tra i contributi più notevoli portati alla chiarificazione dei problemi sorti intorno all'opera del narratore vicentino, scrittore, certo, di stupende facoltà creative, anche se non è proprio il caso di scomodare Manzoni o Verga e lo stesso D'Annunzio, e di grande afflato lirico, a parte la non comune penetrazione psicologica, e non solo per Piccolo mondo antico, il suo capolavoro.

Altri interventi, altre indagini son pure da registrare, su letterati, ancora, nei quali egli può cogliere sostanziali novità poetiche fissandone il significato e la validità dell'opera, come accade pel poeta siciliano Nino Pino del quale mette in luce la finezza spirituale, riscoprendolo, se posso dire, e facendolo conoscere fuor dei limiti regionali, e per Albino Pierro, il gran poeta tursitano che ha trovato la sua vocazione nella poesia in dialetto della sua terra lucana e sul cui filone di spaziale area poetica non v'è critico che non si sia pronunciato. Fra gli altri, un libro che fa presa e sul quale par di capire che Piromalli abbia lavorato davvero con acribia, prendendo in esame su un piano sincronico opere e storia culturale; quello su Guido da Verona, la cui fortuna presso la borghesia del primo dopoguerra è appena il caso di ricordare. Scrittore variamente celebre, si sa, narratore di gusto estetizzante ed erotico-sentimentale, di romanzi carichi, appunto, di sconcertanti particolari e ipoteche psicologiche e tuttavia di vivissime rappresentazioni umane e facili e felici suggestioni, consumatissimo, infine, e coltissimo d'ogni esperienza, ma davvero di pessimo gusto nella reinvenzione satirica dei Promessi Sposi, Piromalli ne annota le componenti psicologiche, appunto, la ideologia politica e letteraria, il mito dannunziano del superuomo nei primi romanzi, le ormai stanche pagine degli ultimi: la stella daveroniana, infatti, che con Mimi Bluette s'era accesa d'improvviso portandolo alla celebrità, allo stesso modo si spense, da un momento all'altro; e fu facile attribuirne la causa alla malaugurata impresa dei Promessi Sposi. La ragion vera è che il gusto e il costume erano cambiati e i tanti critici o letterati contemporanei lo ricusarono tranne pochissimi, un Cecchi, un Borgese, un Giusso, e tra questi sta ora Piromalli, con la monografia che ultima dopo le pagine di Antonino Russo (G.d.V., Uno scrittore tutto liberty, Milano, 1974) si colloca nella lunga bibliografia con una disamina « articolata dei rapporti storici e culturali di Guido da Verona con la società nella quale visse », come è annotato nel quarto di copertina, e con sereno approfondimento su quella sua creatività che avvolgeva come un involucro protettivo i suoi limiti di fondo, scavando con raffinatezza nella realtà ribelle del suo temperamento artistico e nel suo autentico sentimento di poesia, anche se è vero che immerso nella falsa sontuosità del decadentismo non riuscì a conquistare quel rigore indispensabile, come pure s'è scritto, per trasformare le figure in persone, i manichini in creature.

Alla fine, giova pure andarsi a rileggere quei saggi «brevi» raccolti in miscellanee varie (Dal Quattrocento al Novecento, Saggi critici di storia letteraria, Studi sul Novecento, Indagini e letture [...]), in origine apparsi alla macchia in Atti e Memorie di convegni o in periodici, e che spaziano da Dante alla cultura dell'Umanesimo, da Iluminata Bembo e dai mistici del Quattrocento al Caro e al Frugoni su su fino all'Ottocento con gli studi su Isabella Teotochi Albrizzi tra Neoclassicismo e Romanticismo, su Vincenzo Padula, Carducci, ancora Fogazzaro e De Sanctis, e al Novecento coi saggi su Corazzini, Pirandello, Croce, Montale, Panzini, ecc., non trascurando i fermenti spirituali, la tematica e la poetica della prima guerra mondiale. E di questo secolo anche, con Trilussa, due particolari visitazioni, sull'opera di Lorenzo Calogero e di Alba Florio: un letterato, il primo, incasellato come «maledetto» ma raffinato sino all'arabesco, come lo definiva Sinisgalli, e morto di poesia nella più immeritata oscurità, poetessa di gran valore la seconda che « insieme a Lorenzo Calogero è stata la voce più vera di poesia di questi ultimi quarant’anni in Calabria», «una delle più sublimi dell'ermetismo del '900», come vuole Giuseppe De Marco nel suo volume su L'impegno drammatico esistenziale nella poesia di Alba Florio (Milano, 1986).

Né mancano altre pagine, per le quali resta il rammarico di non poterne fare lungo discorso, come quelle su alcuni critici di area, per così dire, universitaria, quali Isidoro Del Lungo, Nicola Zingarelli, Alfredo Galletti, Gaetano Trombatore, della cui formazione culturale mette in luce le strutture portanti, i processi di costruzione della visuale metodologica e critica, le evidenti differenziazioni. In più, son da mettere in conto le puntuali ricognizioni panoramiche sulla letteratura dialettale in Italia, su Società, cultura e letteratura in Emilia e Romagna, su Società e cultura in Calabria tra Otto e Novecento, sulle minoranze storiche e linguistiche ancora in Calabria, che è la sua terra e della cui storia letteraria ha ugualmente tracciato, s'è ricordato in principio, un lucido profilo.

Una operazione critica, dunque, questa di Antonio Piromalli che fa da centro di attenzione per sicura informazione documentaria, rigore storico, sostegno stilistico, riflessione teorica, e che nella varietà ed ampiezza dei suoi interventi ci dà ragione di una sua viva presenza nel clima culturale contemporaneo; oltretutto per la umanità che anima il suo discorso sui nostri scrittori: una vita di fedeltà alla letteratura, che sa vedere a fondo nel senso della sua realtà e che s'è voluto fermare in queste pagine.