Edizioni FAP
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Gli scrittori popolari da noi qui trattati hanno avuto una visione storicamente organica della realtà, che hanno tradotto in arte letteraria, con consapevole razionalità.
Cultura popolare è quella delle classi oppresse. Studiando esempi di essa abbiamo indicato le operazioni compiute nei suoi riguardi per ridurne lo spessore storico e antropologico.

La eterodossa lezione critica di Antonio Piromalli trova negli studi sulla cultura popolare uno dei suoi momenti più fecondi e originali. Le indagini raccolte in questo volume, compiute sul finire degli anni Settanta, costituiscono ancora oggi, in tempi di drammatico declino della critica, di disfacimento della letteratura e di oltranzismi conservatori, un nitido riferimento metodologico.
Nel policentrismo delle culture popolari il critico individua l'esistenza di un filone sommerso mantenuto subalterno, censurato, soppresso che vale la pena di indagare, in cui le minoranze e le classi subalterne esprimono bisogni autentici di giustizia sociale e di libertà.
Nel tracciare un poco consolatorio quadro storico-politico delle vicende italiane dall'Unità al secondo dopoguerra, Piromalli restituisce dignità letteraria e valore politico a opere, scrittori, poeti dimenticati dalla industria culturale e da critici troppo spesso obbedienti alle rigide regole delle confraternite.
Indice generale




5Il rischio delle radici. Letteratura e cultura popolare nella lezione di Antonio Piromalli
32Bibliografia essenziale
37Prefazione all'edizione originale

43

I.
Letteratura dialettale e letteratura nazionale
61II. La critica accademica e la società di massa
77III. «Calabresità» e cultura popolare
77Il «romanticismo naturale» calabrese di De Sanctis e la sua genesi letteraria
82Pascolismo in Calabria equivalente a mondo degli affetti domestici. Etica del classicismo in Vincenzo Gerace
84«Calabresità» come estetismo
87La cultura popolare
89Rapporto tra letteratura e cultura popolare
95IV. Pietro Rossi poeta contadino
95Lo Stato Pontificio, la Restaurazione, l'età postunitaria
97Le rime sacre
99Pietro Rossi e la tradizione letteraria
101Il Ceccone
107Ceccone contadino
117V. Collodi, la libertà, il sistema
131VI. Motivi di narrativa popolare nel ciclo dei Pirati della Malesia
147VII. Giuseppe Garibaldi scrittore popolare
169VIII. Vincenzo Ammirà
169La Ceceide e la società del suo tempo
181Beffa, naturalità e compensazione erotica. La tradizione della «faragula»
183Beffa e naturalità in Ngagghia
191IX. Il Ritorno a San Mauro di Giovanni Pascoli
203X. Cultura classica, rurale e popolare di Alfredo Panzini
221XI. Pasquale Creazzo
221Naturalismo e società
228Creazzo e Antonio Martino
232Il poeta del comunismo rivoluzionario
237XII. Discronie culturali in Francesco Perri e Fortunato Seminara
253XIII. La cultura popolare nel Previtocciolo di Luca Asprea
253Biologia e cultura dell'ambiente
258Mafia, sesso
261Magia, religione
263Letteratura, dialetto e lingua

271

Indice dei nomi




Pubblichiamo qui di seguito la recensione del Prof. Giuseppe Varone, che vivamente ringraziamo.

Lo studio dei rapporti tra letteratura e cultura popolare appare uno dei momenti più fertili e originali della lezione critica di Antonio Piromalli. Le indagini raccolte in questo volume rappresentano un'occasione esclusiva per accostarsi all'avventura intellettuale di un indiscusso maestro della Letteratura Italiana; avventura della quale il contributo del curatore del volume, il Prof. Toni Iermano, Il rischio delle radici, è testimonianza intima, complessa e unitaria.
Il critico calabrese, attraverso tali indagini, compiute sul finire degli anni Settanta del '900, individua nel carattere policentrico delle culture popolari l'esistenza di un filone letterario mantenuto in uno stato di inammissibile subalternità, che necessita, quindi, di essere adeguatamente esplorato; filone nel quale alle minoranze sociali spetta il compito di dare espressione ai bisogni più autentici e ai valori sociali e civili, quali la giustizia e la libertà. Nel delineare un quadro storico-politico-culturale dell'Italia nel periodo compreso tra l'Unificazione e il secondo dopoguerra del Novecento, Piromalli affronta in maniera approfondita sia opere e autori perlopiù dimenticati, ignorati o parzialmente considerati – restituendo loro dignità letteraria e valore socio-politico – sia opere e autori caratterizzati da una notevole popolarità.
In Letteratura dialettale e Letteratura nazionale, lo studioso affronta il problema letterario a partire dalla situazione socio-linguistica italiana, alla luce di un numero esiguo di italofoni, minoranza alla quale si rivolgono gli scrittori e i poeti oltrepassando gli interessi popolari e regionali di buona parte della popolazione, fornendo così alla letteratura una decisa impronta classicistica, volta a rappresentare ufficialmente la continuità della tradizione della lingua italiana. In tale discutibile situazione Piromalli individua in G. Verga l'unico scrittore che offre all'oggettività la lingua dialettale; mentre, per quel che riguarda la percezione della letteratura e con essa della filosofia, si sofferma sul magistero di Benedetto Croce, quindi sul crocianesimo, dal momento che alcuni motivi dell'abruzzese diventano princìpi assoluti senza presupporre lo studio delle incidenze concrete di tali applicazioni. Di conseguenza, degradando in modo idealistico il dialetto la critica ha predisposto la vittoriosa cavalcata del monolinguismo. Vittoria della lingua, dunque, conseguita anche con modi e finalità parziali. Il Nostro, pertanto, non lesina esempi, riportati con scientificità metodologica e chiarezza espressiva, a testimonianza della verità culturale del mondo dialettale, lontani dal folklore, dal retorico e dal colore regionale; forme e formule nelle quali il dialetto opera dall'interno come realismo alternativo alla letterarietà della lingua tradizionale. L'appassionato interprete di Ariosto qui tenta di vedere concretamente quali scrittori dialettali offrono una rappresentazione organica interiorizzata della realtà tra Otto e Novecento, rilevando in quest'ultimo la resa dei dialetti ai calchi e al preziosismo decadente, in direzione dell'incontrastato livellamento operato dai mass media.
Tali riflessioni mirano a una rifondazione della letteratura italiana contenente i momenti pregnanti della cultura dialettale. Per fare ciò Piromalli si pone anche il problema cardine della Critica: in La critica accademica e la società di massa affronta la decadenza del metodo storico, indice di una situazione culturale consolidatasi in vagheggiamento estetico dell'opera d'arte. Una critica lontana dal contemporaneo, poiché problematico, quindi interamente votata allo studio del passato, concepito nella sua solennità e accolto come fonte di sicurezza. Posizioni e atteggiamenti che rappresentano la crisi conoscitiva di un sistema che vede la letteratura aderente ai gusti di una società borghese che lotta contro una cultura di massa e quindi contro una letteratura come modo specifico di produzione sociale.
Nel capitolo «Calabresità» e cultura popolare, appare interamente la capacità e la forza del Nostro di opporsi in qualche modo al dogma desanctisiano, per quel che riguarda l'approccio alla letteratura calabrese, nonostante – come opportunamente rileva il curatore – tutte le attenuanti del caso nello specifico dell'intellettuale irpino. Questo perché per Piromalli la “calabresità” del De Sanctis è un dato a-priori romantico-letterario postulato idealisticamente, quindi sostanzialmente negativo, poiché esclusivamente letterario e non reale.
Continua l'esplorazione in Pietro Rossi poeta contadino: poeta che osserva il mondo campagnolo senza infingimenti e si porta oltre una letteratura finto-ruralista, offrendo un documento autentico di vita dei campi riminesi e sammarinesi, fondata sul rispetto delle tradizioni e dei costumi, che si fa nel contempo documento anche della miseria dei contadini e degli squilibri di classe.
Nel capitolo Collodi, la libertà, il sistema, il Nostro affronta la questione della pedagogia: quando questa, accanto alla moralità, prevale, nell'opera collodiana si scorge il riflesso di un aspetto della vita italiana di fine Ottocento. L'autore di Pinocchio, a vent'anni dall'Unità, offre un insieme di idealità necessario all'Italia giovane. Certo il migliore Collodi, sottolinea lo studioso, è quello incline all'evasione, all'avventura, sebbene avvinto a un volo dalla breve durata, per il richiamo del reale. Il romanzo collodiano può essere storicizzato come un prodotto di quella cultura borghese dell'Italia umbertina, che rivolge un appello per raccogliere forze da indirizzare alla perseveranza produttiva.
In Motivi di narrativa popolare nel ciclo dei Pirati della Malesia si passa alla narrativa dell'altrettanto popolare Emilio Salgari: una produzione letteraria di massa, nella quale si fondono romanzo storico, romanzo sociale francese del secondo Ottocento e narrativa scientifica o di relazioni di viaggi. Il romanzo salgariano nasce nell'epoca dell'imperialismo e del colonialismo, e cerca di giungere alle masse con le caratteristiche dell'epica popolare anticoloniale, pur nella consapevolezza di vivere in un'Italia postrisorgimentale nella quale la borghesia dirompe alla conquista dell'egemonia, e in un'Europa effigiata dalle grandi potenze colonialiste, sopraffattrici di popoli minori. Ma Salgari ha anche la consapevolezza di vivere in un'epoca in movimento, così, ai suoi molti lettori propone modelli eroici nei quali identificarsi, facendo convergere in essi le speranze frustrate, quindi il riscatto da un'emarginazione sociale e culturale, creando in alternativa modelli di vita non borghesi, bensì motivi e personaggi primitivi. Una letteratura, quella salgariana, per il suo particolare stile e la ricucitura epico-popolare, indubbiamente destinata a un pubblico di massa.
In Giuseppe Garibaldi scrittore popolare viene trattata ancora una figura popolare, i cui romanzi nascono in conseguenza delle grandi delusioni storiche. Garibaldi, uomo del popolo e di cultura popolare, si rivolge a un pubblico appartenente al ceto medio, al quale tenta di trasmettere la fede in una missione. Da qui, in una scrittura che sfiora il parlato quotidiano, l'offerta della propria esperienza biografica, in virtù della quale farsi portavoce degli ideali di giustizia e moralità, in quegli ambienti in cui viene a maturarsi il fermento sociale, al quale prendere parte in nome del progresso e della pace, contro ogni forma di tirannide.
La trattazione della letteratura dialettale incontra una figura come Vincenzo Ammirà, da cui il capitolo omonimo, autore appartenente a quella generazione di patrioti che sperarono e lottarono per una patria unita e più giusta. Nella Ceceide il poeta di Monteleone interpreta dall'interno il mondo della campagna e quello popolare, senza avvertire alcuna oscenità in ciò che gli appare naturale. Il poemetto è espressione di una cultura che si pone al di là di quella aulica, deridendola nei suoi idealismi e nelle sue convenzioni, affermando di contro valori umani e naturali.

Ne Il Ritorno a San Mauro di Giovanni Pascoli, lo studioso di Maropati offre l'immagine del poeta che ha ormai una grande pubblico e si viene prefigurando con la scenografia melodrammatica del gusto artistico romagnolo del suo tempo. L'altro piano dell'opera in esame è costituito dalla tradizione popolare di San Mauro. Pascoli avverte il bisogno di recuperare un tempo felice perduto, attraverso una nuova immersione nelle inesauribili tradizioni popolari. Inoltre, nel discorso poetico del Ritorno si avverte un superamento del linguaggio contemporaneo, che contribuisce a fissare gli elementi della lirica nuova del Novecento.
In Cultura classica, rurale e popolare di Alfredo Panzini, il Nostro offre un'immagine dello scrittore classicista e sgomento di fronte alla società di massa che distrugge i principi e le tradizioni storiche ed etniche, sostenitore di contro della religione, della morale, della patria e dell'arte come strumenti di difesa. Da qui la sua fuga nel passato, nel paradiso perduto degli antichi. L'opera di Panzini è vista anche come un documento ideologico e di costume delle reazioni dei moderati alla crisi della società borghese. Resta uno scrittore di trattenimento, incapace di credere nella cultura contadina, sempre dissolta letterariamente in miti, folklore e arcadie, timoroso, infine, del socialismo, del comunismo e delle rivoluzioni sociali ed estraneo alle nuove tecniche narrative della letteratura europea.
In Pasquale Creazzo viene affrontata la figura del poeta insofferente agli ostacoli incontrati nella vita, il quale esprime un desiderio di pace, sentimento individuale che si intreccia al piano dell'umanità. Un agitatore politico, capace di credere che la verità risieda nella natura dell'uomo: atteggiamenti che ne fecero la voce e la guida della cultura analfabeta, arcaica, dei poveri, assoggettati alle superstizioni, all'ignoranza e allo sfruttamento. Creazzo il “poeta del Comunismo rivoluzionario”.
In Discronie culturali in Francesco Perri e Fortunato Seminara, Piromalli sottolinea come per Perri il romanzo debba essere «un libro di battaglia», antifascista, nel quadro di una visione interclassista e di una ricostruzione dello Stato. Lontano dalle trasformazioni del romanzo dei primi decenni del XX secolo, tuttavia, ripete il moralismo naturalistico e paesano, cercando di renderlo romanzesco con qualche ingrediente lirico-realistico di pietà verso gli umili. Ben più complessa l'apparizione de Le baracche di Seminara, che rompe con la narrativa precedente. Si apre a un'idea di romanzo post-naturalistico, adatto a un pubblico composito e lontano da una mera funzione documentaria o d'intrattenimento. Un genere nel quale comincia ad insinuarsi anche l'influenza del giornalismo. I limiti sono proprio nell'arretratezza del naturalismo a confronto con la produzione contemporanea. Anche a Seminara, quindi, manca la consapevolezza della nuova cultura europea, per cui non sono fusi i due piani linguistici locale e letterario.
L'esplorazione di Piromalli si conclude con La cultura popolare nel Previtocciolo di Luca Asprea: scritto nel '60, quando il realismo è già in crisi, nasce come narrazione di denuncia, in lingua dialettale. Un'opera di critica al sistema di vita e di rapporti in un seminario, e più in generale nel villaggio calabrese di quel tempo, contenente una carica di violenza accumulatasi nell'immobilismo, nel bisogno, nella superstizione, entro strutture culturali di un paese pagano e povero. Un mondo arcaico e agrario, in cui dominano l'appetito sessuale di uomini, animali, vegetali. Asprea è un isolato e la sua opera, come altre della letteratura calabrese, rappresenta un documento umano della solitudine.

Giuseppe Varone

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