Sono presentate di seguito alcune testimonianze di questa attività, iniziando da quella del preside prof. Luciano Messina, compartecipe e collaboratore in quella sperimentazione:

Un pioniere dell'aggiornamento culturale
di Luciano Messina, Studi in onore di Antonio Piromalli,
E.S.I., Napoli 1993

[...] Una singolare «cattedra» si rivelò per Piromalli l'incarico, meglio, la funzione di ispettore centrale del Ministero della Pubblica Istruzione.
.. Ho avuto la ventura di conoscere negli anni sessanta e di apprezzare per molto tempo la preziosa e generosa attività di promozione culturale e didattica da lui svolta, nell'esercizio della sua alta funzione ispettiva, in favore della scuola italiana e segnatamente dei presidi e dei docenti della media superiore, sui quali seppe rovesciare, sia pure attraverso la modesta struttura di un piccolo, troppo piccolo ufficio ministeriale - l'A.I.M. -, fasci di luce e fremiti di volo e di nuovo, senza i quali la scuola nostrana sarebbe fatalmente rimasta a lungo in letargo e, inseguendo farfalle e fantasmi sotto l'Arco di Tito, avrebbe continuato a imbottire soltanto cervelli, in attesa della tanto sospirata riforma.[...]
E’ un buco, che sa di «topaia» per il suo scarso e quasi squallido arredo, ma nei pochi metri quadrati riservati a questo singolare «bicamere» dell'aggiornamento degli insegnanti medi si respira altra aria, più pulita e senza la «polvere» dei vicini stanzoni colmi di pratiche accatastate e forse inutili.
Qui non ci sono pile di cartelle ammassate e, quindi, impolverate; e non ci sono nemmeno file di funzionari e di applicati, sussiegosi e pigri, distaccati in un tiepido e sonnolento camerone ministeriale per « svernarvi», facendo finta di lavorare. Qui, gli addetti sono appena tre, dislocati nelle due stanzette; delle due stanzette, una è ovviamente riservata al capo, il dinamico ispettore generale Enrico Dalmasso, mentre l'altra ospita, in una sorta di «forzosa» ma operosa coabitazione, la diligente e paziente applicata-dattilografa e, soprattutto lei, l'ottima Ersilia Oricchio, intelligente e insostituibile «manager» dell'aggiornamento didattico negli anni 60 e 70. Sui tre addetti piove giornalmente e s'irradia, anche se invisibile «ad occhio nudo», la luce intellettuale di Antonio Piromalli, il Nume tutelare dell'AIM e dell'aggiornamento culturale e didattico del personale docente medio, appalesatosi con le sue intuizioni e le sue coordinazioni metodologiche un magister o, se si preferisce, un master di quel piccolo ma straordinario team-teaching, che fu ben presto l'AIM.

L'apertura e la conduzione di questa benemerita «agenzia» dell'aggiornamento degli insegnamenti medi, infatti, presupponevano a monte e nel corso dell'iniziativa una filosofia o, se si vuole, una cultura dell'aggiornamento e della sperimentazione, senza di cui quell'aggiornamento e quella sperimentazione avrebbero rischiato di svolgersi all'italiana e di non dare alcun contributo serio e concreto al delicato e difficile processo di rinnovamento della scuola italiana. E Antonio Piromalli donò subito - ovviamente assieme ad altri illuminati intellettuali - codesta cultura e codesta filosofia, tanto più opportune e valide, quanto più venivano donate in un momento confuso e convulso della vita, didattica e amministrativa, della nostra scuola. […]
Mentre nel versante della cultura, dovunque e anche da noi, la ricerca cammina speditamente e proficuamente, tanto da offrire alla scuola militante frequenti e intelligenti proposte psico-pedagogiche e didattiche, che hanno almeno il merito di scuotere la nostra vecchia scuola dal torpore di una sonnolenza infinita, nel versante politico nostrano i fermenti innovatori si irretiscono nella ragnatela delle concorrenze ideologiche dei partiti, per perdersi poi e spegnersi nel buio polveroso e tombale del Parlamento.
[…]Quando un istituto, come il mio, ogni anno fa ricorso sulle colonne della propria rivista a metaforiche, paradossali e provocatorie rappresentazioni dello stato di salute (!) della scuola italiana, paragonando codesta scuola ora a un elefante danzatore e pagliaccio (1974), ora a un cavallo zoppicante e decrepito (1973), ora a un orso polare e solitario (1962), ora a una bella addormentata (1972), ora a Madama Pompadour e ai suoi antidiluviani mutandoni (1971) - e i riferimenti potrebbero continuare a scorrere a ritroso fino all'anno zero della rivista - quando altri istituti nelle forme e nei modi più opportuni fanno altrettanto e nessuno li ascolta fra quanti hanno il dovere istituzionale e morale di farlo, non rimane che gridare tutta la rabbia e tutto lo sdegno carcerati da tempo in corpo e sperare che qualcuno che «conta» ti senta e ti dia una mano.
E uno che conta a un certo punto si fa vivo, almeno con me. E’ Antonio Piromalli, con tutto il peso e l'autorità della sua funzione e soprattutto della sua cultura. Gli avevo mandato uno dei primi volumi degli «Incontri», come del resto avevo fatto con gli altri ispettori della P.I. e con diversi rappresentanti autorevoli della scuola, della cultura e della stampa. Quel volume, come del resto gli altri, aveva registrato adesioni e consensi significativi, anche quelli di Piromalli; ma costui a differenza degli altri non si ferma a esprimermi l'apprezzamento per quel che vado scrivendo sugli «Incontri» e soprattutto per quel che vado realizzando fra le pareti e i banchi del mio istituto, ma, da quell'acuto e serio critico che è, mi mette anche di fronte ai limiti delle mie sperimentazioni e mi suggerisce con discrezione e intelligenza i relativi adeguati aggiustamenti. In una parola, Piromalli diventa per me una sorta di coscienza critica del mio impegno professionale, di cui mi avvarrò sempre nell'esercizio della mia azione di dirigente scolastico.
Ci conosciamo di persona solo dopo qualche anno dall'inizio della nostra corrispondenza di lavoro. Siamo nell'autunno del '72 ed io sto ansimando sullo scalone del Liceo classico di Cosenza per raggiungere l'aula magna e partecipare al 1° Seminario promosso dall'Ufficio Aim del Ministero per trenta presidi del sud. Mi trovo appena ai primi gradini, quando mi accorgo che due signori (che dopo scopro essere gli ispettori Piromalli e Dalmasso) stanno conversando con una signora (la dottoressa Oricchio) sull'ultimo pianerottolo della scala; a un certo punto uno dei due signori che si è accorto di me (Piromalli) mi indica agli altri e, salutandomi cordialmente con la mano, mi viene all'incontro scendendo qualche gradino. Io che non conosco i tre mi giro a guardare dietro di me, pensando che alle mie spalle ci sia qualche ospite di riguardo, cui è stato indirizzato quel cordiale saluto. Ma poiché dietro di me non c'è nessuno e poiché dentro di me, soprattutto, non c'è né ci può essere un ospite di riguardo, guadagno speditamente l'ultimo gradino, per scusarmi di avere senza volerlo provocato quello spiacevole equivoco. Ma il buon Piromalli, avvicinandosi a me, con le braccia aperte e un grande sorriso sulle labbra, mi chiarisce di avermi insieme agli altri due conosciuto attraverso le illustrazioni fotografiche contenute negli «Incontri» in precedenza ricevuti e mi precisa anche che il mio arrivo era atteso, avendo io, già nell'anno scolastico 1969-70, sperimentato nel mio istituto un tipo di lezione interdisciplinare e potendo di conseguenza dare un contributo ai lavori di quel seminario dedicato appunto all'interdisciplinarità. Da questo colloquio, al quale prendono parte anche Dalmasso e Oricchio, viene fuori l'invito per me ad essere uno dei relatori al Seminario che sullo stesso tema dell'interdisciplinarità sarebbe stato dall'Ufficio Aim organizzato in novembre a Cesena per i colleghi presidi del centro-nord. Ovviamente il testo di quella relazione da me tenuta nella città romagnola il 5 novembre 1972, unitamente ai documenti conclusivi di quel seminario, trovò posto, per un'adeguata divulgazione a livello nazionale, nell'8° numero della mia rivista. E tutto questo con soddisfazione, sia mia, sia dei 2 dirigenti dell'Aim, sia soprattutto dell'ottimo Piromalli.

Una breve e malinconica postilla e poi mi avvio alla conclusione. I due seminari or ora ricordati si chiudono, nonostante le incertezze o anche le diffidenze di qualcuno, con la dichiarata disponibilità della maggior parte dei presidi presenti a sperimentare nei rispettivi istituti la lezione interdisciplinare; un collega, che dirige un liceo milanese, si accorda con me per coordinare insieme la sperimentazione nel suo e nel mio istituto. E così il Liceo scientifico «L. Cremona» di Milano e l'Istituto Magistrale «G. Gentile» di Castelvetrano (le uniche due scuole italiane che sperimentano per prime l'interdisciplinarità) per un intero anno scolastico (1972-73) conducono insieme la sperimentazione, tenendosi a stretto contatto di gomito con reciproche visite e verifiche; la prof. Laura Fornerone del liceo milanese ci fa l'onore e il piacere di alcuni suoi incontri di «verifica» con i docenti e gli studenti delle seconde classi A e C della nostra scuola, partecipando anche alla fine di aprile con una sua relazione ai lavori di un corso di aggiornamento sul tema «Esempi applicativi del metodo interdisciplinare», che l'AIM mi aveva incaricato di organizzare e di dirigere per i docenti del mio istituto e delle scuole medio-superiori di Castelvetrano e dintorni.

Anche in questa occasione, pur con qualche riserva, vengono espressi consensi alla metodologia interdisciplinare, tanto che all'inizio dell'anno scolastico successivo il Collegio dei docenti del mio istituto delibera all'unanimità di continuare la sperimentazione nelle terze classi, per concluderla l'anno seguente con l'ultima classe dei corsi A e C. Ma non prevedendo ancora la normativa sulla maturità la possibilità per l'alunno interessato alla sperimentazione di sostenere le prove con una commissione cosiddetta «sperimentale» e preoccupandomi che i miei alunni possano l'anno appresso non «capirsi» con una commissione cosiddetta «normale» e «scivolare» di conseguenza all'esame finale e rompersi le gambe, mi affretto - dopo avere autorizzato la ripresa della sperimentazione con riserva - ad avere dagli organi ministeriali competenti le opportune assicurazioni in merito. L'occasione mi viene offerta da un Corso di aggiornamento organizzato dall'Aim a Foligno, durante il quale chiedo al Direttore Generale per l'istruzione classica, presente alla cerimonia d'inaugurazione, se sia prevista o meno nei piani del Ministero la formazione, per l'anno scolastico successivo, di commissioni sperimentali per gli esami di maturità. Avendo avuto risposta negativa dal predetto Direttore e, qualche giorno dopo, anche dal Ministro e non dovendo né volendo assumere alcuna responsabilità con i miei ragazzi delle terze classi in ordine ai rischi del loro esame di stato del prossimo anno, convoco subito un'assemblea degli alunni e dei docenti interessati, a conclusione della quale, su mia proposta, viene deciso all'unanimità di sospendere la sperimentazione in corso e, in attesa che il Ministero provveda nel senso sopra indicato, riprendere in uso la consueta, tradizionale metodologia di lavoro.

È la classica doccia fredda, che si rovescia improvvisa sull'entusiasmo di alunni e docenti, i quali si vedono in un baleno privare di seri e innovatori strumenti didattici di lavoro e ricacciati ai vecchi sistemi nozionistici e trasmissivi dell'apprendimento. E tutto questo per la mancanza di idee e di pianificazione organica dimostrata in questa, come in altre circostanze, dagli organi istituzionali di governo della scuola italiana. Certo le commissioni «sperimentali» verranno fra qualche anno alla luce, ma non nasceranno da un colpo d'ala di questo o quel direttore generale, di questo o quel ministro; usciranno dal cilindro di qualche mago di Trastevere o di Montecitorio solo quando, codificato con il D.P.R. 419 il diritto di cittadinanza della sperimentazione didattica, sarà giocoforza necessario pervenire alla « maturità sperimentale » e, di conseguenza, alla relativa commissione speciale. E sarà, non un avvenimento storico, ma una presa d'atto « notarile » di un fatto, che per i suoi fermenti d'origine, invece, e per le sue proiezioni di prospettiva nello scenario della nuova scuola italiana, avrebbe meritato intuizioni e, in subordine, attenzioni più intelligenti.

Proprio quelle intuizioni e quelle attenzioni espresse da un piccolo ufficio come l'AIM, che prima di essere smantellato dalla miopia o dall'invidia di qualche « cervellone » di Viale Trastevere (il che purtroppo accadrà nel volgere di qualche luna), si era alimentato del fervore operativo di un manager dalle capacità d'impresa di una Ersilia Oricchio, del coordinamento organizzativo di un programmatore del valore di un Enrico Dalmasso e della luce intellettuale, oltre che del patrimonio culturale, di un Maestro dalla statura di un Antonio Piromalli.

Parlando di loro, all'inizio di questo «racconto», li ho presentati come i pionieri o i precursori della sperimentazione culturale e didattica della secondaria superiore. Tra gli sperimentatori d'allora (pochini, in verità!) c'ero anch'io, con tutto il carico di sofferenza e di speranza, che lo stato patologico della nostra vecchia scuola ma anche la sua ansia di rinnovamento mi avevano messo in corpo. Noi tentammo allora, anno dopo anno, di cacciare l'elefante dalle aule del nostro istituto e l'orso e il cavallo e le belle addormentate e le Madame Pompadour e i loro mutandoni. E per far questo, spalancammo fin dal 1959 il portone della nostra scuola e, con uno «slogan» all'uopo coniato e che piacque tanto a Quasimodo («la scuola fuori della scuola»), spingemmo i nostri giovani a «incontrarsi» per istrada o «a domicilio» con ammalati, carcerati, magistrati, sindaci, deputati, ministri, papi, presidenti di consiglio, non solo nazionali o continentali, per potere - nel corso di visite di istruzione condotte fino all'ONU di New York, o di inchieste-dibattito o ancora di tavole rotonde realizzate nei circoli culturali della città - parlare insieme della comunità, mondiale oltre che municipale o regionale, dai piccoli problemi del traffico cittadino, perennemente intasato, a quelli più grossi e impegnativi dell'inquinamento, dei beni culturali, della giustizia, della droga, della violenza, della convivenza, pacifica e civile, fra i popoli della terra, sempre più compromessa allora da un sempre più rigido «gelo» nei rapporti fra le nazioni dell'est e dell'ovest, e così via. Tutto questo per potere, attraverso tali «corsi itineranti di educazione civica», educare i giovani alunni - fra l'altro da me abituati fin da quel lontano 1959, e molti anni prima dei decreti delegati, all'esercizio democratico del voto con l'elezione annuale dei propri organismi studenteschi - ad inserirsi consapevolmente nel tessuto sociale, per potere da adulti contribuire, non da comparse ma da protagonisti, al progresso civile delle comunità a tutti i livelli.
In «casa» ricevemmo ospiti d'eccezione, dagli scrittori (Leonardo Sciascia, Carlo Levi, Carlo Bernari, Cesare Zavattini, Luce d'Eramo, Dacia Maraini, etc.) per degli incontri esaltanti con gli alunni, ai critici e ai cattedratici per una interessante carrellata con docenti e alunni sulla cultura e la civiltà del nostro tempo (in ordine cronologico: Armando Plebe, Gregorio Napoli, Beatrice Palma Vittorelli, Virgilio Titone, Giorgio Santangelo, Edoardo Bruno, P.E. Carapezza, Nino Titone, Mario Sansone, Giuseppe Bellafiore, Giuliano Manacorda, Giusto Monaco, Gaetano Ferrante, Antonio Saccà, Renzo Paris, Biancamaria Frabotta, Giuseppe Cottone, Nicola Tanda etc.), a pedagogisti e psicologi (Angelo Liotta, Riccardo Luccio, Angelo Beretta, Santino Caramella, Vittorio D'Alessandro, Melchiorre Geraci e tanti altri) per un corso pluriennale di aggiornamento sulla didattica delle discipline insegnate al Magistrale.
E in casa gli alunni allestirono mostre, organizzarono concerti e spettacoli, pure a mezzo della propria filodrammatica «la ribalta» all'uopo costituita, attuarono inchieste sociali, effettuarono diversi dibattiti-ricerca sulla condizione dei giovani e sulla problematica esistenziale degli anni sedici, di volta in volta assistiti da esperti e specialisti e s'incontrarono ogni anno con i cento e passa professori dell'Orchestra Sinfonica Siciliana e, per una qualificata ed efficace drammatizzazione dei classici antichi e moderni, con attori dello spessore artistico e culturale di Arnoldo Foà, Lea Padovani, Carlo D'Angelo, Lydia Alfonsi, Edmonda Aldini, Warner Bentivegna, Mario Volgoi, Giovanna Fiorentini, Vittorio Ciccocioppo (diretti questi due da Ruggero Jacobbi), Olga Villi, Tino Carraro, Mario Feliciani etc.
Tutto questo «traffico» che, in aggiunta alle normali attività didattiche e curricolari e a quelle speciali e sperimentali, si svolgeva ogni anno dentro le mura e fuori, alla ricerca febbrile ed esaltante delle « coordinate» culturali e sociali del nostro tempo, escluso e discriminato dai vecchi elefantiaci programmi ministeriali, tutto questo traffico, dicevo, da una parte si rivelava una «boccata di ossigeno» per la nostra vecchia scuola, ma dall'altra, con un giudizio sommario, veniva etichettato come un inutile perditempo da qualche «vicino di casa», evidentemente inetto e parruccone, che nel momento culminante del suo «sacro furore»; mi avrà visto come un fastidioso guastafeste o addirittura come uno sfrontato profanatore del tempio della scuola. E noi nell'atmosfera calda di quegli anni di lotta ci scagliammo contro i brontoloni e gli ignavi con veemenza e sdegno. […]
Evidentemente tra quei farisei e quei ponziopilato c'erano, con quei piccoli «vicini di casa» di cui parlavo prima, tutti o quasi i busti paludati e impettiti del museo-dormitorio di Viale Trastevere, responsabili quanto o più dei loro «compari» di Montecitorio e dintorni, del gravissimo stato di salute, quasi da coma, della scuola italiana.

Non c'erano tra quegli inetti e quegli ignavi i «pionieri» dell'AIM, gli unici a livello di vertice romano e nazionale che con intelligenza e amore, con dignità e continuità ci abbiano capito e sostenuto nello sforzo teso a scuotere dal secolare letargo la bella addormentata; gli unici che invece di vomitare ordinanze e circolari inutili abbiano provocato presidi e docenti con proposte di arricchimento culturale e di aggiornamento didattico e con una lunga serie di fermenti sperimentali e di stimoli educativi. Se continuati, codesti stimoli e codeste provocazioni, e non improvvisamente e «misteriosamente» interrotti dalla imbecillità di qualche caporione, avrebbero a quest'ora, anche senza la magna charta della riforma, conseguito il rinnovamento della scuola media italiana.

Ma la mia penna a questo punto si rifiuta di continuare, anche perché non vuole abusare della pazienza di nessuno; però, prima di fermarsi sente di esprimere al benemerito team dell'AIM, e per esso al suo master Piromalli, i sentimenti della più viva gratitudine per avere in un momento storico assai delicato e difficile preso per mano e accompagnato la scuola italiana verso traguardi più vivi e civili, impegnandola in un serio e deciso tentativo di svecchiamento e avviandola successivamente a un sicuro, pur se graduale, processo di rinnovamento.

E, con la gratitudine, anche un augurio: che l'illustre amico, mentre si accinge con il felice compimento dei suoi fecondi 70 anni a entrare nella sua terza giovinezza, ritrovi ancora per molto tempo le energie e gli entusiasmi di un tempo, per donarli, in una lunga interminabile lezione di umanità, alla vasta, sterminata comunità dei suoi amici e dei suoi estimatori.

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