ESSERE INTATTO, ESSERE SOLO

 

Le cose che sono intorno
ci soffocano con la loro forma
come le parole mentite ci uccidono.
Vogliamo essere puri
dagli accumuli assurdi delle cose,
sii tu, o Assenza, la mia regina:
tu mi allontani dalla morte e dalla corruzione.
Non più mi inabissino gli occhi
o le calde falcate di una donna
di nere chiome e la sua bocca
densa di bruciori e di sangue,
non più vengano con la sera tra gli ulivi
i morti di guerra ai purpurei prati
bevuti dal sole.
Siano lontane le intempestive mete,
le carezze delle donne che portavano
voli di fiamma e sopore;
a te, oggi, o isola, ritorno
dove forteti e nuraghi
respirano l'aria mattinale
(caprioli e farfalle nella boscaglia)
e schiumeggiano i fiumi.

Che io sia come un giorno
sulla cima di un monte verde
a cui salivano sentieri di paglia
e tartarughe selvatiche e colore del mare:
era quel monte come l'immagine
della mia sostanza più certa,
sfioravano la terra donne senza sorriso
e nel golfo di aranci, tra nugoli di pesci,
si scatenavano le àncore.
Forse in quell'ora meridiana io fui:
vita trascorrente e serena,
quella dei cavalli crocchianti,
di battelli fermi dentro una nuvola
e anche un nome era un'erba falciata,
era uno specchio che non s'incrina.

Essere intatto, essere solo:
non tra i giardini estensi
su cui gravano figure conosciute
ma, oltre questa vita del tempo,
io sia come un filo che non comincia
e non finisce.

Ferrara, maggio 1948